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Greenpeace: i mari italiani colpiti dai cambiamenti climatici, lo dimostra il progetto Mare Caldo, a cui aderisce anche l’Area Marina Protetta delle Cinque Terre

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L’Area Marina Protetta delle Cinque Terre aderisce alla rete “Mare Caldo”, promossa da Greenpeace, che in soli due anni è riuscita a istituire ben 11 stazioni per il monitoraggio degli impatti dei cambiamenti climatici sui mari italiani. Greenpeace si è immersa in questi giorni nelle acque delle Cinque Terre con il supporto dell’AMP dove si sta lavorando all’installazione di sensori per la misurazione delle temperature marine lungo la colonna d’acqua.

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Clima, Greenpeace: rapporto IPCC conferma che le soluzioni esistono ed è urgente adottarle

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Esistono soluzioni per non superare il limite di riscaldamento globale stabilito dall’Accordo di Parigi in 1.5°C. Tuttavia non si concretizzeranno con le attuali politiche dei governi, che ci stanno portando al fallimento. Questi sono gli anni critici per dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 e impostare la rotta verso le emissioni zero.

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VIDEO – Crisi energetica: 10 proposte per liberarci dal gas

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Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia avanzano 10 proposte al Governo Draghi su rinnovabili ed efficienza per liberare l’Italia dalla dipendenza del gas.

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Greenpeace, Legambiente e WWF insorgono sull’emergenza climatica. Coinvolta anche la Campania

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Greenpeace, Legambiente e WWF denunciano «Un inaccettabile messaggio pro-fossili proprio in apertura della PreCop26 dal Ministero della Transizione Ecologica. In assenza dell’adozione del PiTESAI, il cosiddetto Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee, entro il 30 settembre, si sono rimessi in moto i procedimenti autorizzativi vecchi e nuovi (compresi quelli di Valutazione di Impatto Ambientale) per la prospezione e ricerca degli idrocarburi, che erano stati sospesi sino a fine settembre e che ricominceranno a minacciare circa 91mila chilometri quadrati di mare e 26mila kmq sulla terraferma».

Le tre organizzazioni ambientaliste avevano già lanciato l’allarme il 9 settembre con una lettera inviata al ministro, paventando che questo sarebbe stato l’esito inevitabile, visto che non c’era il tempo per il perfezionamento della procedura VAS sulla proposta di PiTESAI e per l’intesa con la Conferenza unificata per le attività legate alle trivellazioni a terra, prima di adottare il Piano.

Come ricordano le tre associazioni sulla base dei dati riportati nella stessa proposta di PiTESAI, «Ciò comporta per le sole attività a mare, che riparta l’iter per: 5 istanze di permesso di prospezione in mare, di cui è in corso la valutazione ambientale, per un totale di 68.335 kmq; 24 istanze di permesso di ricerca in mare (alcune delle quali con la procedura di  VIA in corso) per un totale di 13.777 kmq e che coinvolgono il Canale di Sicilia (4 istanze), le coste dell’Adriatico tra le Marche e l’Abruzzo (7 istanze), le coste di fronte la Puglia (10 istanze) e il Golfo di Taranto (3 istanze); 1 istanza di concessione di coltivazione nel Golfo di Venezia e 20 permessi di ricerca – per un totale di 8.872 kmq – che erano stati congelati in attesa dell’approvazione del piano e che coinvolgono il Golfo di Venezia (7 permessi), il Canale di Sicilia (4), le coste di fronte alla Puglia (4), Calabria (4) e l’Adriatico  di fronte la costa anconetana»

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