CASERTA – di Antonio Arricale – Ci sono anche i nomi di tre marcianisani doc e dal cognome a dir poco ingombrante, che sono finiti nel gigantesco mercato di informazioni personali e riservate,
acquisite il modo illecito da banche dati strategiche per l’Italia, carpite da ex appartenenti o appartenenti a polizia e Gdf, tecnici informatici e hacker per essere rivendute a clienti del mondo dell’imprenditoria non solo per fini aziendali ma anche familiari.
È quanto emerge dall’indagine della Dda di Milano e della Dna che ha portato – come si sa – agli arresti domiciliari l’ex super poliziotto Carmine Gallo, amministratore delegato della Equalize, società di investigazione privata del presidente di Fondazione Fiera Enrico Pazzali, ora indagato, Nunzio Calamucci, Massimiliano Camponovo e Giulio Cornelli, titolari o soci di aziende collegate e specializzate nella sicurezza e nell’informatica.
I tre, originari e residenti a Marcianise, che peraltro si portano dietro un cognome molto pesante, riconducibile a fatti legati alla camorra degli anni 70 e 80, sono: Belforte Antonio Nicola, nato il 25.06.1970 a Marcianise; Belforte Pasquale, nato a Caserta il 17.03.1978; e Belforte Gaetano, nato sempre a Marcianise il 19.12.1971.
Antonio, Pasquale e Gaetano – come detto – sono cugini di Domenico e Salvatore Belforte, i due boss che a cavallo degli anni Ottanta diedero vita all’omonimo clan, cosiddetto dei Mazzacane, considerata una delle organizzazioni camorristiche più longeve e feroci che operarono in provincia di Caserta e, in particolare, a ridosso del capoluogo. Un clan dichiarato estinto da diverse sentenze, in particolare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e confermata dalla Corte di appello di Napoli, per assenza di figure malavitose attive.
Al momento, la presenza dei tre nomi nell’inchiesta, è legata al fatto che probabilmente avessero compulsato la centrale di spionaggio per assicurarsi, attraverso lo Sdi, se avessero particolari misure di osservazioni da parte delle forze dell’ordine sul loro capo.
La sigla Sdi sta, infatti, per Sistema informativo interforze. L’accesso abusivo a banche dati istituzionali riservate e protette da misure di sicurezza, avveniva per far conoscere ai committenti tutti i precedenti di Polizia dei cittadini.
Nella foto, un momento della conferenza stampa della Dda di Milano