L’Editoriale di Antonio Arricale – Basta, non se ne può più. Siamo stanchi. Stanchi di questa politica, stanchi di questa classe dirigente. Stanchi di come vanno le cose nella sanità, nei trasporti, nell’agricoltura, nel turismo. Al Comune, alla Provincia, alla Regione, al Governo. Siamo stanchi degli annunci, degli slogan, delle apparenze, del ciarpame riciclato come nuovo, della demagogia un tanto al chilo.
Provate a leggere le reazioni che la gente perbene posta sui social, in calce alle notizie vere, che saranno pure poche tra la molta fuffa che si trova sul web, ma che pure ci stanno, per farvene un’idea. Leggete i commenti alle riflessioni pacate, quelle non sguaiate, serie, scritte da gente seria e vi rendete conto di quanto distacco esista tra il paese reale e il paese virtuale. E scoprirete o semplicemente avrete conferma che il paese del mulino bianco che – a turno, da destra a sinistra – provano a farci credere, attraverso la bulimia di talkshow, convegni, comizi, comunicati stampa, eccetera, con la voce spesso imbolsita del governatore o amministratore locale o nazionale di turno, non esiste. O, meglio, la gente non ci crede. Del resto, lo va dicendo ormai da tempo, non a caso disertando sempre più le urne.
D’accordo – come ammoniva Umberto Eco – “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”. Ma fatta la tara ai poveracci che pensano di avere “lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel” – sempre per citare Eco – la sensazione che se ne trae è, appunto, questa: un forte e generale senso di delusione, sconforto, diffusa depressione sociale. In una parola: sfiducia.
Il fatto è che la gente non ama i politici di professione. Peggio, che intendono la politica come mestiere (semmai ne hanno fatto uno) o come mezzo per arricchirsi alle spalle della comunità.
Traspare o si intuisce, insomma – altro che Mani pulite – che in quasi tutti gli ambiti degli enti pubblici, unitamente ad una diffusa incompetenza mista ad una tracotanza insopportabile, si celano ruberie, sprechi, scialacquamenti.
Provate a pensate alle strutture sanitarie, spesso fornite di apparecchiatura costosissime, ma lasciate colpevolmente inutilizzate, mentre si ingrossano le liste d’attesa. Pensate ai consorzi pubblici che gestiscono importanti risorse – come l’acqua, per esempio – o più in generale, ai cosiddetti enti strumentali, che sono forniti di cospicue dotazioni finanziarie, ma chiudono i bilanci sempre in passivo. E, dunque, con Pantalone chiamato puntualmente a ripianare le perdite.
E pensate, ancora, alle cosiddette stazioni appaltanti, create al fine di offrire una trasparente, legale e più efficiente gestione delle gare d’appalto, ma che sembrano – dalle voci che sempre più spesso si rincorrono e ci arrivano – essere diventate sede di nuovi e più potenti comitati di affari. Consorterie che fanno impallidire “i mariuoli” della cosiddetta Prima Repubblica. E dove funzionari infedeli e imprenditori collusi – ritenendosi intoccabili – continuano a fare il bello (per loro) e il cattivo tempo (per noi).
Direte che siamo presi dallo stesso furore ideologico e demagogico di cui sono rimasti vittime i 5Stelle. Ma non è così. Da noi ne leggerete presto di belle. Anzi, di brutte.