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Provincia di Caserta, il Tar dà ragione a De Rosa e i cittadini riprendono a sperare

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L’EDITORIALE DI ANTONIO ARRICALE – Grande è la confusione sotto il cielo della Provincia di Caserta. Quest’ultima intesa, ovviamente, come ente pubblico. Anzi, come l’ente di via Lubich, che da due mesi vive nel più totale caos istituzionale.

Un clima che è figlio di comportamenti al limite della legalità, di una diffusa incertezza sulle prassi politico-amministrative caratterizzate da uno spregio assoluto della lettera, pure chiarissima, della norma e, finanche, della distrazione delle autorità tutorie.
Ed è soprattutto quest’ultimo elemento – dispiace sottolinearlo – ad ingenerare, alla fin fine, presso l’opinione pubblica quel generale sentimento di sfiducia che avvolge – diciamoci la verità – un po’ tutti, spingendoci in conclusione a disinteressarci della vita politica attiva o, semplicemente, a disertare le urne. Insomma – è questo il senso – se la politica o, meglio, i politici barano, il cittadino, povero e disilluso spettatore, si augurerebbe in ultima analisi l’intervento dell’arbitro. Che finora, però, non c’è stato. Arbitro, che da un po’ di tempo – nell’interpretazione corrente di un malinteso concetto delle autonomie locali – per usare una metafora calcistica – lascia correre, impunemente, il gioco senza fischiare i falli, quando pure sono evidenti senza l’ausilio del Var. Oppure, che fischia a tempo ormai scaduto del gioco, il che è anche peggio.
Ricapitoliamo, dunque. La Provincia di Caserta – intesa questa volta sia come ente che come territorio geografico – da qualche anno è avvolta da scandali politico-amministrativi consumati sotto gli occhi di tutti.
In questo clima, che è figlio di un sistema politico clientelare stomachevole, finalmente interviene la magistratura. Le inchieste coinvolgono importanti amministrazioni comunali – finanche quella del capoluogo – e a macchia d’olio arrivano a coinvolgere un consigliere regionale, Giovanni Zannini, ed il presidente dell’amministrazione provinciale, Giorgio Magliocca. Due personaggi, per quanto mi riguarda, che sono sicuramente galantuomini, fino a prova contraria, sotto l’aspetto penale. Ma che dal punto di vista politico-amministrativo non ho alcuna esitazione a confinare nella quinta bolgia dell’ottavo cerchio dantesco, meglio conosciuta come quella dei “barattieri”.
Insomma, pressato dalla magistratura e sotto la spinta dell’opinione pubblica che comincia ad avvertire contro, il 25 ottobre scorso Magliocca si dimette sia da sindaco di Pignataro Maggiore e sia da presidente della Provincia. Di più: si autosospende da entrambe le cariche. Dimissioni che conferma, come si sa, allo scadere del termine del ripensamento (20 giorni) concesso dalla legge. Non senza, però, tentare un’ultima furbata. E cioè, sospende – motu proprio, verrebbe da dire – per qualche ora la sua sospensione (non è un gioco di parole), ritenendo di poter tornare per qualche ora nel pieno delle sue funzioni, all’unico scopo di revocare l’incarico di vice presidente a De Rosa, che evidentemente ha inviso, e riassegnare la stessa delega a Gaetano Di Monaco. Quindi, esce di scena.
Il provvedimento, però, come era logico aspettarsi, è stato censurato dal Tar (si leggano a parte su questo giornale altri particolari). Così come – a nostro avviso – sarebbero stati da censurare tutti gli atti che sono stati successivamente adottati, dagli amministratori e burocrazia di turno, in barba alle più elementari norme che la stessa Provincia di Caserta – con il suo Statuto – si è date. E che puntualmente ha disapplicato senza un apparente motivo, se non quello di sperare di continuare a perpetuare il potere – un cattivo potere – nelle mani di una filiera politica consociativa che ha affossato – se possibile – ancora di più la speranza di rinascita morale, prima ancora che economica, della Provincia di Caserta.
Ed è in questo contesto, appunto, che avremmo salutato addirittura come salvifico un intervento degli organi tutori, che però non c’è stato, per rimettere sul binario della legalità tutte le condotte politiche. Ma benché delusi, noi non disperiamo.

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