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Pestato in carcere, videoregistra il fratello con l’occhio tumefatto e il labbro rotto

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SANTA MARIA CAPUA VETERE – “Aveva un occhio nero, il labbro spaccato, dietro aveva due guardie, mi disse che gli agenti minacciavano lui e gli altri detenuti. Se non ritiriamo le denunce non usciamo vivi da qui, dicevano”. Giulia Motti ha registrato quella videochiamata con il fratello Ciro Motti, avvenuta qualche giorno dopo il blitz del 6 aprile del 2020 nel carcere Uccella di Santa Maria Capua Vetere e l’ha consegnata in una pen drive al difensore del fratello, l’avvocato Carmine D’Onofrio.

È una nuova prova emersa ieri nel corso del maxiprocesso per le torture avvenute nella casa circondariale, che si celebra nell’aula bunker davanti ai giudici della corte di assise. La rivelazione della testimone resa al pubblico ministero Alessandra Pinto ha dato la stura ad una contestazione dei difensori, gli avvocati Carlo De Stavola, Rosario Avenia ed Edoardo Razzino che hanno chiesto di circoscrivere l’esame della testa a quanto contenuto nel capitolato dio prova, cioè alla denuncia che Giulia Motti fece ai carabinieri l’8 aprile in seguito alla telefonata (solo audio) del giorno prima, in cui il fratello le aveva detto “con voce straziata” di essere stato massacrato di botte dagli agenti dopo averlo fatto spogliare completamente e che altri detenuti erano stati ricoverati in ospedale. Il procuratore aggiunto Alessandro Milita ha invece risposto che si trattava di un elemento nuovo emerso dalla testimonianza e come tale andrebbe approfondito. Il presidente della Corte, Roberto Donatiello, ha disposto che l’esame rimanesse nell’alveo del capitolato di prova prodotto dalla pubblica accusa. La testimone ha detto inoltre di essere andata in carcere dopo aver visto su una diretta Facebook le proteste davanti all’istituto Uccella delle madri e delle mogli che da giorni non riuscivano più ad avere i colloqui con i figli e le mogli. Ha inoltre riferito di aver registrato telefonate e videochiamate con il fratello Ciro, costituitosi parte civile, grazie ad un’applicazione sul telefono che le aveva fatto scaricare un’amica. Registrò tutti i colloqui perché temeva che il fratello non sarebbe uscito vivo dal carcere.

giovanni maria mascia

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