Personale ATA: il ministero rispetti i patti, incrementi e stabilizzi gli organici e restituisca i fondi sottratti all’istruzione

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La scuola ha la forte necessità, mai come adesso, di essere curata e rafforzata nei suoi assetti fondamentali, uno dei quali senza ombra di dubbio è costituito  dalle persone che vi lavorano e compongono la comunità educante nel suo complesso. Tra questi il personale ATA ne è una componente essenziale.

Il fenomeno del contagio da Covid (non ancora scomparso) e l’accoglienza doverosa dei bambini in età scolare provenienti da scenari di guerra (Ucraina ma non solo) sottoporrà le scuole ed il personale ad un carico di lavoro ancor più gravoso. Il Ministero non solo sembra non preoccuparsi di tutto questo ma è persino venuto meno al rispetto di accordi già in essere: nell’ultimo incontro con i Sindacati scuola sugli organici ATA per l’anno scolastico 2022/2023, nulla di quanto pattuito nelle precedenti intese viene onorato.

In particolare non viene rispettata l’Intesa firmata con i sindacati nel maggio 2021 concernente l’incremento di organico dei collaboratori scolastici (a fronte delle 2.288 unità trasformate da tempo parziale a tempo pieno a beneficio dei lavoratori ex LSU), né il patto per la scuola firmato il 20 maggio 2021 con le organizzazioni sindacali che prevedeva il rafforzamento degli organici, la riduzione degli alunni per classe e la copertura di tutti i posti liberi.

Inoltre registriamo il mancato superamento del precariato degli ATA con la mancata copertura dei posti liberi e la mancata integrazione in organico di diritto dei posti previsti di fatto. Non viene per giunta portata a termine, a fronte dei molti anni di servizio, nemmeno la meritata stabilizzazione degli assistenti amministrativi facente funzione di DSGA. È inoltre ancora scoperta la collocazione di un assistente tecnico in ogni scuola del primo ciclo richiesta dall’avanzamento del processo di informatizzazione dei servizi funzionali alla didattica e all’amministrazione.

Al danno del mancato rispetto di misure già concordate si aggiunge la beffa del grave de-finanziamento del capitolo di spesa in conoscenza a vantaggio della spesa bellica! Lo studio, il sapere, la ricerca, la cultura, la scuola – non le armi – sono un investimento per il futuro. Per questo non ci stancheremo di chiedere che i 15 miliardi che il Documento di Economia e Finanza (DEF) prevede di spendere nei prossimi anni per il riarmo, siano invece restituiti all’istruzione.