L’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, che vogliamo anche qui fermamente condannare, ha drammaticamente riproposto i temi della dipendenza energetica del nostro Paese da forniture estere e dell’assenza di una politica energetica comune in Europa.
In particolare, in Italia, nel settore siderurgico, si sono acuite difficoltà e dipendenze preesistenti al conflitto sia in termini di approvvigionamento di materia prime che elevati costi energetici, sia in termini di fornitura di ghisa e DRI su tutta la filiera: la siderurgia italiana importa circa 2 milioni di tonnellate l’anno dalla Russia e 2,5 milioni di tonnellate di semilavorati dall’Ucraina.
E’ evidente che il conflitto in atto può seriamente compromettere le prospettive del settore e già alcune imprese hanno annunciato il ricorso agli ammortizzatori sociali.
Non si può pensare di scaricare, dopo quella della pandemia, il peso della crisi sui lavoratori e sulle loro famiglie che già ne pagano le conseguenze in termini di inflazione e caro bollette.
Fim Fiom Uilm chiedono che le misure del Governo, in discussione in queste ore, non si limitino a un pur indispensabile intervento sui costi energetici. Occorre definire il più volte annunciato piano strategico per la siderurgia italiana con interventi strutturali, che acceleri la soluzione delle vertenze nei grandi Gruppi (a partire dall’ex Ilva, ex Lucchini Piombino, ex Alcoa,….), che intrecci e diversifichi le fonti di approvvigionamento energetico, che assuma la dimensione europea come orizzonte imprescindibile. Chiederemo, anche attraverso IndustriAll, che il Parlamento europeo assuma, nelle prossime settimane, decisioni sulla legislazione dell’UE sul clima, in particolare per quanto riguarda il sistema di scambio di quote di emissioni (ETS) e sul meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) in grado di tutelare il settore.
Queste scelte avranno un impatto significativo sulla tenuta dell’intero settore che in Italia, 2° produttore in Europa, occupa oltre 30.000 addetti diretti (2% dell’occupazione manufatturiera nazionale) ed oltre 33 miliardi di fatturato, e sulle prospettive di salvaguardia generale del settore.
Occorrono decisioni equilibrate in grado di evitare gli errori della globalizzazione incontrollata commessi in passato. Migliaia di posti di lavoro si sono persi in Europa e la produzione è stata via via sostituita da importazioni più economiche da paesi con standard sociali e ambientali più bassi a partire da Cina, Indonesia e Turchia.
Occorre quindi garantire le condizioni per un percorso di decarbonizzazione sostenibile e una transizione giusta anche attraverso un apposito fondo. Non si può correre il rischio che le giuste esigenze e gli obiettivi di decarbonizzazione si traducano in una ulteriore deindustrializzazione dell’Europa e dell’Italia con chiusure di impianti e licenziamenti.
Occorre fermare la guerra e sostenere i negoziati in corso, riaprire un confronto, con il coinvolgimento delle parti sociali, in grado di dare all’Europa una politica energetica comune e un futuro sostenibile alle sue produzioni.