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Ingegnere ucciso, il mandante chiede scusa e ammette: doveva solo gambizzarlo, se lo meritava

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NAPOLI – “Io non volevo ammazzarlo, doveva essere sparato nelle gambe perché se lo meritava per quello che stava facendo”. Sono le parole di Gennaro Petrucci, 73 anni, marito di Silvana Fucito, simbolo dell’antiracket, imputato davanti alla Corte di Assise di Napoli per l’omicidio dell’ingegnere Salvatore Coppola, assassinato a Napoli lo scorso 12 marzo, nel parcheggio di un supermercato in via Protopisani.
    

Secondo Petrucci, che avrebbe dovuto testimoniare dietro un paravento e che ha scelto invece di mostrarsi, la “gambizzazione” era stata decisa perché Coppola si stava vendicando della moglie che lo aveva denunciato.
All’imputato la Procura e la Squadra Mobile di Napoli contesta di essere il mandante dell’agguato durante il quale Coppola venne ucciso nel corso di un’azione violenza che sarebbe stata portata a termine dal 64enne Mario De Simone in cambio di 20mila euro. ngegnere ucciso: imputato, chiedo scusa ma ce l’aveva con me

Petrucci ha poi chiesto scusa alla famiglia della vittima. “Voglio chiedere scusa alla famiglia Coppola, non si uccide una persona così facilmente. Avevo un grande peso sulla coscienza. Sono stato molto turbato. Però voglio far capire alla famiglia perché lui ce l’aveva con me”.
Le “scuse” di Petrucci giungono dopo la deposizione di un vice questore del commissariato San Giovanni-Barra di Napoli che, ai giudici, ha parlato dell’omicidio, ripreso da una telecamera del vicino cantiere universitario.
(Nella foto il luogo dell’omicidio e l’ingegnere Salvatore Coppola)

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