E’ iniziata la prima riunione in Camera di commercio del comitato promotore della «Dop» Pomodoro di Puglia, in risposta al “pomodoro Napoli” proposto dagli industriali campani con l’obbligo di indicare la dicitura “Pomodoro allungato destinato alla trasformazione dell’Igp Pomodoro pelato di Napoli” sul documento di trasporto della materia prima in partenza dai campi foggiani verso le aziende trasformatrici campane.
“Il Comitato promotore Igp Pomodoro pelato Napoli – ricorda Coldiretti – ha dato inizio alla procedura per richiedere il riconoscimento della Igp Pomodoro pelato di Napoli” come comunicato dal ministero dell’Agricoltura nella Gazzetta ufficiale n. 62 del 13 marzo 2021. Nei 60 giorni successivi – informa l’organizzazione agricola – è stata presentata opposizione formale da un ente giuridico terzo, come previsto dall’articolo 10 del Regolamento Ue n. 1151/2012 del 21 novembre 2012.
Al momento la Commissione non si è espressa con nessuna decisione sulla registrazione che sarà ufficialmente riconosciuta con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. La reazione poggia sui numeri: la Puglia detiene la quasi totalità della produzione del pomodoro all’interno di una filiera del Sud Italia – riferisce Coldiretti Foggia – sulla base dello studio commissionato all’Uni – versità di Foggia, con 15.527.500 quintali di pomodoro da industria su una superficie di 17.170 ettari prodotti in Puglia, mentre in Campania 2.490.080 quintali su una superficie di 3.976 ettari. “La provincia di Foggia è leader indiscussa del mercato e rappresenta il maggiore bacino di produzione nazionale – insiste Coldiretti Foggia – con una superficie media annua di 15.000 ettari e con una produzione di pomodoro da industria che si aggira intorno ai 14.250.000 quintali (1,4 milioni di tonnellate)“. Nel caso in questione, con il termine “Pomodoro pelato di Napoli”, come riportato nell’art. 2 del disciplinare – aggiunge Coldiretti Foggia – viene difatti identificato con una conserva di pomodoro indifferenziata dal punto di vista commerciale.
“Dal punto di vista qualitativo, le uniche caratteristiche del prodotto dichiarate che presentano elementi più restrittivi sono: 3% del peso sgocciolato in meno; 1,5% del residuo ottico in meno; un volume del pomodoro 7% in più rispetto lo standard senza lesioni o deformazioni; 0,7 cmq/100g di residui di bucce in meno, oltre che un 10% in meno presenza di muffe”.
“Non è accettabile che venga commercializzato un prodotto che si fregia di un marchio comunitario così fortemente distintivo – afferma Pietro Piccioni, delegato confederale di Coldiretti Foggia – senza che ci sia alcun obbligo di utilizzare i pomodori del territorio al quale la indicazione si ispira. Il 40 per cento del pomodoro italiano viene proprio dalla Capitanata che da sola produce il 90% del pomodoro lungo. Il pomodoro potrebbe provenire da qualsiasi area, definendo nell’art. 5 del disciplinare solamente i tempi di stoccaggio massimi, e la qualità del pomodoro in entrata non è identificata da parametri qualitativi più restrittivi che consentano al prodotto finale di avere proprietà organolettiche caratterizzanti, inserendo come unico elemento “la coltivazione seguendo i metodi di lotta integrata o biologica”. Anche perché il disciplinare identifica come area di produzione le regioni quali Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise e Puglia. Viste le statistiche delle produzioni, il “Pomodoro pelato di Napoli IGP” includerebbe conserve il cui pomodoro è prodotto per il 90% dei casi nella Regione Puglia “, stigmatizza Piccioni. Nel caso in questione, la possibilità di identificare con “Napoli”un pomodoro prodotto nella maggior parte dei casi in aree diverse e appartenenti ad altre regioni italiane risulterebbe fuorviante per i consumatori e sarebbe a detrimento della reputazione territoriale di Napoli e della Regione Puglia, quando invece il matching perfetto tra prodotto e luogo di origine dovrebbe rappresentare la leva e il valore immateriale da tutelare con la proprietà intellettuale di cui godono le Ig.