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Fermo, matrimoni combinati per ottenere la cittadinanza

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Sono trascorsi alcuni anni dai fatti ma pochi mesi dalla sentenza che ha riconosciuto le responsabilità di alcuni soggetti che hanno costituito una consorteria delinquenziale per ottenere illeciti guadagni attraverso matrimoni combinati tra donne italiane e cittadini indiani, le prime interessate ad un facile introito in denaro contante con l’unico impegno di coniugarsi con uno straniero sconosciuto che sarebbe rimasto tale anche dopo la celebrazione del rito civile, i secondi per ottenere prima la possibilità di ingresso legittimo in Italia, poi un permesso di soggiorno in quanto coniugi di cittadine italiane e successivamente lo status giuridico di cittadini italiani.

Una vicenda che oltre a profili di carattere amministrativo costituiti dai fasulli atti relativi ai matrimoni, solo in apparenza reali, contratti in India ha presentato in una sua fase, anche connotazioni di violenza e di pratiche intimidatorie per conservare, ai sodali dell’organizzazione, gli illeciti guadagni per i quali era stata creata.

Per riunire i due aspetti, quello amministrativo e quello penale, ognuno dei quali ha avuto vita propria, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Fermo ha coordinato le attività di indagine fino a raggiungere la recente sentenza emessa dal Tribunale nella quale è stata riconosciuta la responsabilità penale dei soggetti stranieri coinvolti due dei quali sono stati condannati, in primo grado, uno alla pena di poco più di sette anni mentre il secondo a quella di sei anni e mezzo.

La sentenza, come garantito dalla Costituzione in relazione al “giusto processo regolato dalla legge” potrà essere rivalutata, nel merito dei fatti e nella legittimità degli atti, negli ulteriori gradi di giudizio ma l’impianto accusatorio formato dalle prove acquisite dagli atti amministrativi prodromici forniti dal personale dell’Ufficio Immigrazione della Polizia di Stato e dalle indagini di polizia giudiziaria condotte dalla Procura della Repubblica ha delineato l’esistenza di una consorteria che si era radicata anche nella nostra realtà territoriale per compiere i propri misfatti.

Gli atti amministrativi dai quali è scaturita la vicenda penale riguardano i cosiddetti accertamenti di convivenza svolti dal personale dell’Ufficio Immigrazione finalizzati a verificare se moglie e marito, dopo che si sono stabiliti sul territorio nazionale, effettivamente convivano ed in alcuni casi il riscontro ha avuto esito negativo determinando il rigetto da parte del Questore della richiesta di permesso di soggiorno per il “coniuge” straniero.

Un accertamento negativo può essere un caso ma quando le situazioni si ripresentano e ad esse si aggiungono ulteriori elementi che fanno sorgere la concreta possibilità che dietro tali evenienze vi sia un’organizzazione dedita alla commissione di siffatti illeciti, la vicenda si connota di profili di carattere penale sui quali la Procura ha immediatamente dato impulso e coordinato le attività investigative.

Una consorteria criminale piramidale, come tutte le organizzazioni, con al vertice il soggetto straniero, o più di uno, che l’ha creata e la guida per ottenere un guadagno economico, in questo caso un soggetto “di spessore” riconosciuto anche dalla sentenza quale punto di riferimento della comunità indiana nel nostro territorio, un leader rispettato e temuto; subito sotto una o più persone italiane incaricate, dietro lauto compenso, di contattare donne giovani con difficoltà economiche o attratte da un facile introito senza alcuna spesa né prestazione personale che si rendessero disponibili ad effettuare uno o più viaggi nel Paese straniero per una fugace conoscenza del novello sposo designato e per la celebrazione dell’ancor più snello matrimonio. Cinquemila euro di compenso puliti, senza spese di viaggio e soggiorno per qualche parola durante la celebrazione ed una firma su qualche atto, soldi spesso dati in anticipo rispetto alla cerimonia per la ovvia diffidenza della donna che non sempre ha onorato il contratto informale.

Infatti, in alcuni casi la promessa sposa dopo l’incasso ha cambiato idea, si è resa indisponibile a mantenere l’accordo e si è dileguata.

La responsabilità della perdita dei soldi è chiaramente stata addebitata al cittadino italiano con la funzione di procuratore e mediatore che aveva contattato la futura sposa ma che, nella logica dei soggetti organizzatori, non era stato in grado di assicurare il positivo risultato del progetto.

E secondo quella logica delinquenziale chi si ritiene abbia sbagliato deve essere punito sia per rientrare in possesso del denaro scomparso sia per dare un esempio, anche ad altri accoliti, che chi sgarra ne paga personalmente le conseguenze, oltre che per ribadire il proprio potere assoluto.

Dalle indagini condotte dalla Procura e cristallizzate nella sentenza del Tribunale, il responsabile dell’errore è stato raggiunto, fatto salire in auto circondato da complici stranieri del vertice dell’organizzazione, portato in un locale sconosciuto nel quale sono state spente le luci per accrescere il senso di impotenza della vittima che è stata minacciata di morte e picchiata da più persone straniere con calci e pugni e con armi improprie quali una pinza a pappagallo per idraulici, la cd. “cagna”, ed una catena, provocando gravi lesioni e la perdita di denti fino ad ottenere le firme della vittima su documenti con i quali si era impegnato a restituire le somme perse ed un ulteriore congruo ristoro per il danno subìto dai soggetti “traditi”.

I reati contestati nel procedimento penale hanno seguito la medesima ricostruzione degli eventi sopra riportata: concorso nel reato di direzione ed organizzazione di attività finalizzate all’immigrazione clandestina, concorso in estorsione aggravata per aver agito con violenza e minaccia per ottenere il ristoro del danno economico subìto, sequestro di persona, lesioni aggravate e violenza privata.

All’esito delle udienze i due principali imputati responsabili dei fatti criminosi sono stati, come già detto, rispettivamente condannati alla pena di poco più di sette anni, il riconosciuto leader dell’organizzazione, e di sei anni e mezzo di reclusione.

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