L’EDITORIALE di Antonio Arricale – Non passa giorno, ormai, che su impulso di una delle tredici Procure della Repubblica presenti in Campania, non ci sia un ente locale con un amministratore, un funzionario, un imprenditore o un qualsiasi affarista, che non sia interessato da un’operazione delle forze dell’ordine.
Data la frequenza dei casi, la sensazione, per quelli della mia età, è un po’ quella di rivivere – mutatis mutandis – la stagione di Manipulite. Ma, forse, esagero.
E, però, seppure non si tratti di una nuova Tangentopoli, quella che via via emerge, di sicuro ci somiglia molto. Nel senso che, è da un bel po’ che la gente ha capito che poco o nulla è cambiato da quei maledetti anni Novanta. E cominciava, infatti, a mostrare nuovamente, dapprima insofferenza verso un sistema di corruzione sfacciatamente diffuso; e poi addirittura rassegnazione per il livello di impunità raggiunto da queste cricche di politicanti e faccendieri di ogni risma e colore. A proposito, rispetto a quell’epoca, nel mirino dei magistrati campani oggi ci stanno finendo proprio tutti: da destra a sinistra, passando per il centro, senza distinzione di sorta.
E dire, poi, che questo nauseabondo fenomeno di malcostume politico, qui da noi – ma un po’ ovunque al sud – è reso anche più odioso e pericoloso dalla sistematica infiltrazione della camorra nel tessuto politico-amministrativo.
Peraltro, mentre negli anni di Tangentopoli, nella maggior parte dei casi, i “mariuoli” rubavano per finanziare l’attività dei partiti e, più in generale, la politica, oggigiorno sindaci, assessori, consiglieri, dirigenti, funzionari, uscieri e sodali di ogni risma rubano semplicemente per sé stessi, per l’arricchimento personale.
Beninteso – non ci stancheremo mai di ripeterlo – tutti gli inquisiti restano innocenti fino a prova contraria e a sentenza definitiva. Ma non è più una questione di garantismo. Colpevoli o innocenti che siano, infatti, il fenomeno del malaffare che si è impossessato della pubblica amministrazione non è più l’eccezione, è diventata la regola.
E, tuttavia, nonostante la lampante evidenza, il fenomeno della malamministrazione è sembrato, fino a un certo punto, ignorato dai magistrati inquirenti, sicché per la gente valeva sempre il detto: il pesce puzza dalla testa. Cosa, invero, che non è. Oggi, infatti, la magistratura c’è e si muove. All’unisono, anzi, verrebbe da dire. Dal momento che le inchieste per i reati contro la pubblica amministrazione sono incalzanti e stanno toccando tutte le province. Inchieste che sono solo all’inizio, potendosi prevedere facilmente nuovi e più eclatanti sviluppi nelle prossime settimane. Forse già nei prossimi giorni.
Certo fa specie che, di fronte al dilagare del fenomeno, la politica non si fermi a riflettere e a interrogarsi sui motivi che ci stanno dietro. Insomma, che non cerchi di risalire alla causa e, dunque, di chiudere le falle in quelle leggi che non fanno argine.
Ma la politica pensa ad altro. Pensa, magari, a perpetuare sé stessa, a conservarsi la poltrona. E ancora una volta sbaglia. Non lo ha fatto negli anni Novanta e non lo sta facendo ora. Ecco, ancora una volta ci stanno pensando i magistrati. E meno male.