Con la presente intendo rassegnare le mie dimissioni, con effetto dalla data odierna, da ogni carica in Forza Italia, decisione irrevocabilmente maturata a seguito dei tragici fatti di Ischia, dove ho avuto la conferma della totale incapacità, mancanza di autentica volontà (oltre ai tradizionali avversatori ideologici) del partito, cui si è da sempre rappresentata la delicata vicenda, di comprendere la storica questione dell’abusivismo edilizio nella sua complessità, dovendo prendere atto che si è trovato in essa un utile leva di consenso elettore, senza un impegno (ad eccezione dell’apprezzabile volontà di pochi) di un impegno autentico nell’esame e nella risoluzione delle problematiche sottese.
L’abusivismo edilizio, che ci si è affrettati ad additare come causa unica dei fatti di Ischia, tentando in questo modo di allontanare ogni responsabilità politica, è invece effetto ultimo di un’annosa carenza pianificatoria, figlia dell’inerzia della classe politica, che ha all’opposto da sempre individuato nella gestione del territorio un formidabile strumento di consenso elettorale, un utile strumento per l’esercizio di un potere sul territorio.
Dall’inizio abbiamo provato a rappresentare che non sussiste alcun vantaggio per la famiglia media (ad eccezione della speculazione che da sempre condanniamo) nell’edificare senza titolo, se non quello derivante dal bisogno indotto da necessità abitative che non trovano adeguato riscontro in un corretto sviluppo del territorio, saturato da interessi particolaristici speculativi, ragione per cui l’abusivismo si concentra maggiormente in alcune zone del sud, piuttosto che in migliori esperienze pianificatorie del nord.
Abbiamo da sempre rappresentato che l’abusivismo è figlio di una carenza pianificatoria, di un eccesso di complessità burocratiche, di una stratificazione tra interessi particolaristici e connivenza pubblica, di un’assenza di tutele delle necessità abitative sia nel momento pianificatorio che declinata come regolazione del mercato immobiliare.
Se da un lato si preferisce negare queste evidenti realtà, dall’altro si preferisce demolire a discrezione e con tardività piccole abitazioni, nella proprietà di una famiglia media, quand’anche non gravate da vincoli di natura idrogeologica, in zona sismica e così via, casi saliti come noto anche alla ribalta nazionale.
Tale modus procedendi oltre che palesemente illegittimo, si mostra come irrazionale, dannoso e produttivo di devastanti effetti sociali.
La nostra proposta legislativa, risutato di un studio attento e del bilanciamento tra i vari aspetti coinvolti, confluita nel ddl Falanga, si è diretta a disciplinare gli interventi demolitori, graduandone gli ordini di demolizione, privilegiando immobili ricadenti in zona ad in edificabilità assoluta, a dissesto idrogeologico, manufatti non abitati e quelli frutto o provento di attività delittuosa o speculativa.
Allo stesso tempo si è ritenuta la necessità di definire con criteri certi quelle decine di migliaia di domande di sanatoria, con omogeneità rispetto al resto d’Italia, nel rispetto della specificità dei territori, a tutela dei diritti abitativi.
Proposta legislativa, più volte all’esame del Parlamento, che ha trovato la ferma opposizione di una diffusa ipocrisia pseudo-ecologista che ancora oggi vuole prevalere sulla razionalità, su una corretta pianificazione, sulla consapevolezza della complessità di una problematica, sulla tutela, pur necessaria, dei diritti coinvolti, con l’esito paradossale di non proteggere i territori né quanti li abitano.
Napoli, 01.12.2022 Raffaele Cardamuro