La pandemia ha fatto esplodere una serie di ritardi che caratterizzano la sanità in Campania e che già prima del Covid erano emersi in tutta la loro drammaticità. Lo sottolinea in un capitolo ad hoc il Rapporto Bankitalia Campania 2020 presentato qualche giorno fa. La sanità rappresenta la principale destinazione della spesa primaria corrente della Regione. I dati del ministero della Salute segnalano per il 2020 una crescita dei costi del servizio sanitario campano del 3,6% rispetto al 2019. Tale andamento è la conseguenza delle spese legate all’emergenza sanitaria, pur in presenza di una riduzione del costo delle attività ospedaliere sospese o rinviate in quanto non direttamente collegate con il Covid. L’ampliamento della spesa è quasi interamente dovuto ai maggiori costi sostenuti per i servizi sanitari erogati in gestione diretta, cresciuti del 5,3% in un anno.
La spesa per il personale, principale componente di costo della gestione diretta, è cresciuta del 3,3% anche per il rafforzamento dell’organico per il Covid: il personale delle strutture sanitarie campane, pubbliche, equiparate e private convenzionate, si è ampliato di oltre 5.300 persone, per lo più con contratti a termine, i due terzi del totale. Circa la metà del nuovo personale è rappresentato da infermieri, solo un quarto da medici. Il governatore Vincenzo De Luca ha più volte sottolineato che la Campania ha 15-16mila medici in meno rispetto ad altre regioni con minore popolazione. Anche il costo per l’assistenza sanitaria di base in convenzione, che include quello per i medici di base, i pediatri, e i medici di continuità assistenziale e di emergenza e urgenza, è aumentato del 2,6%. Per il 2020 l’Agenzia Nazionale per i servizi sanitari campani ha segnalato che negli ospedali i ricoveri per alcune prestazioni, in prevalenza per malati di cancro e cardiopatici, si sono ridotti di oltre un terzo. Ma ciò che è più preoccupante, segnala Bankitalia, è che tra gennaio e settembre 2020 gli screening preventivi si sono più che dimezzati. Come se non bastasse, la Campania soffre altresì un evidente divario dell’offerta pubblica di servizi sanitari: i posti letto in strutture ospedaliere campane pubbliche o equiparate erano 2,1 ogni 100mila abitanti. e ciò spiega la metà delle terapie intensive rispetto alle Regioni del Nord.
Le cose vanno male in Campania anche per quel che riguarda la speranza di vita in buona salute, notevolmente inferiore alla media nazionale per la presenza in regione di diffuse situazioni di cronicità: basti pensare che la quota di popolazione che ha fatto ricorso alle diverse tipologie di screening oncologico è compresa tra il 58 e l’83% dei valori medi italiani. A ciò contribuiscono anche altri fattori, a partire dal fatto che la domanda di assistenza sanitaria nella regione si ricollega agli stili di vita adottati dai cittadini che si presentano più problematici della media nazionale: troppe persone sedentarie, un livello di fumatori tra i più elevati in Italia, troppi infine gli obesi a causa degli errati stili di alimentazione. Quanto questi trend di vita siano influenzati dal contesto socioeconomico è facile da intuirsi: in una regione che si connota per un livello di reddito pro capite ampiamente inferiore alla media nazionale, con diffuse situazioni di povertà, il ricorso all’assistenza sanitaria, in particolare preventiva, appare nella stragrande maggioranza dei casi un’ipotesi da pochi presa in considerazione.