I militari del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Portomaggiore (Ferrara) unitamente a quelli del Gruppo Carabinieri Tutela Lavoro di Venezia, hanno proceduto a Portomaggiore e varie località nelle province di Ferrara, Rovigo, Padova, Venezia e Ravenna, a dare esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 3 cittadini pachistani, domiciliati nel portuense, per i reati in concorso tra loro, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro aggravata, cosi detto Caporalato, rissa e calunnia.
Agli arrestati viene contestato il reclutamento di manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi, prevalentemente presso aziende agricole, in condizioni di sfruttamento approfittando del loro stato di bisogno, attività illecita commessa mediante violenza e minaccia nei confronti di numerosi lavoratori. Le complesse e prolungate indagini hanno permesso di documentare il reclutamento illecito di oltre 100 lavoratori, impiegati in più circostanze da 18 aziende agricole.
Nel contesto sopra riportato sono stati eseguiti altresì un sequestro per equivalente di beni degli arrestati, per 80.000 euro (due appartamenti ove dimorano gli arrestati siti in Portomaggiore, due conti correnti, dieci autoveicoli utilizzati per il reclutamento ed il trasporto dei lavoratori nonché varie carte credito prepagate utilizzate per i pagamenti irregolari); denunciati alla Procura della Repubblica di Ferrara e sottoposti a perquisizione personale e locale 23 imprenditori e relative società agricole a cui viene contestato di aver utilizzato, assunto ed impiegato manodopera mediante l’attività di intermediazione illecita sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Le indagini hanno preso avvio da una violenta rissa verificatasi in Portomaggiore nell’ottobre 2020 ove gli odierni arrestati, con violenza e minaccia, sedavano le rimostranze fatte dai lavoratori. Quella notte furono coinvolte 10/15 persone, alcune delle quali rimasero ferite gravemente a causa dell’uso di spranghe e cocci di vetro, mentre altre vittime trovarono rifugio nella caserma dei Carabinieri di Portomaggiore.
Gli stranieri sottoposti a misura cautelare, sulla base delle unità richieste dall’imprenditore, viene loro contestata: la reiterata retribuzione in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato (100/200 euro mensili versati regolarmente e la restante parte direttamente gestita dagli arrestati che trattenevano per sé 4/5 euro ora).
E ancora la reiterata violazione della normativa di settore (orario di lavoro, riposo settimanale, aspettativa, ferie, visite mediche, formazione sulla sicurezza, mancata fornitura dei dispositivi individuali di sicurezza, etc); di avvalersi di mezzi di intimidazione quali percosse, sia fuori che sui luoghi di lavoro, la minaccia ai lavoratori di non essere più chiamati a lavorare, il trattenimento dell’intero salario giornaliero dei lavoratori ritenuti indisciplinati e/o la corresponsione della quota dello stipendio in nero sotto forma di sporadiche elargizioni per tenere soggiogato il lavoratore, la minaccia di ogni forma di ritorsione o l’uso della violenza fisica nei confronti di coloro che paventavano l’intenzione di denunciare i fatti ai Carabinieri (come nell’occasione della rissa sopra richiamata).
Gli approfondimenti investigativi, articolati su due anni di osservazioni, pedinamenti, registrazioni ed attività tecniche, hanno documentato come la condotta si sia protratta dal 2018, senza soluzione di continuità, sino ad oggi. Il reclutamento e l’impiego dei lavoratori non avveniva occasionalmente ma sfruttando una struttura organizzativa che prevedeva l’impiego di mezzi per il trasporto, la cura di tutti gli aspetti tecnico pratici del lavoro, in condizioni di sfruttamento, nonché il sistematico trattenimento di circa il 30% dello stipendio degli operai.
Il sistema ormai rodato si reggeva sullo sfruttamento dello stato bisogno dei lavoratori, la imprescindibile sottomissione degli stessi, anche col quotidiano ricorso ad ogni genere di intimidazione, a cui si associavano la violazione della normativa sulla sicurezza e l’elisione dei diritti dei lavoratori. Il sistema investigato prevedeva che gli imprenditori agricoli fossero perfettamente a conoscenza della procedura illecita, in quanto quotidianamente si accordavano con le controparti per il reclutamento delle unità di lavoratori di cui necessitavano, tenendo contatti solo con i sodali a cui effettuavano i pagamenti, di fatto non conoscendo di persona gli operai, i quali potevano essere sostituiti di giorno in giorno.
Anche nei pochi casi in cui venivano formalizzati i contratti, ove piccole parti di stipendio venivano necessariamente pagate mediante bonifico, tutto veniva gestito sempre dal sodalizio con l’imprenditore che da un lato effettuava il bonifico sull’Iban fornito dagli arrestati e dall’altro consegnava danaro contante ”in nero”. Nel contesto sopra riportato va evidenziato come, a seguito delle novelle normative degli ultimi anni, la pena prevista per lo sfruttamento della manodopera è stata fissata nel massimo a 8 anni, estesa non solo per chi recluta ma anche per l’impresa agricola che impiega manodopera irregolare.