Amnesty International ha denunciato la campagna senza precedenti lanciata dalle autorità russe, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, contro il giornalismo indipendente, il movimento contro la guerra e le voci dissidenti.
Bloccando i più popolari organi d’informazione critici del governo, chiudendo le emittenti radiofoniche indipendenti e costringendo decine di giornalisti a fermare il loro lavoro o a lasciare il paese, il Cremlino ha quasi del tutto privato la popolazione di informazioni obiettive, veritiere e imparziali.
Dal 24 febbraio Roskomnadzor, il servizio federale che sovrintende alle comunicazioni, ha istituito una censura di tipo bellico per ridurre al silenzio il dissenso. Lo stesso giorno dell’inizio dell’invasione, ha ordinato a tutti gli organi d’informazione di usare soltanto fonti ufficiali, minacciando altrimenti gravi punizioni per “diffusione di notizie false”. Le parole “guerra”, “invasione” e “attacco” sono state vietate.
Il 28 febbraio Roskomnadzor ha bloccato Nastoyashchee Vremya (“Tempi attuali”), collegata a Radio Free Europe / Radio Liberty, per aver diffuso informazioni “inattendibili”. Dal 1° marzo quasi tutti i portali ucraini sono risultati inaccessibili agli utenti russi di Internet.
Nei giorni seguenti, sono stati censurati altri organi d’informazione indipendenti come l’emittente televisiva TV Rain, la radio Ėcho Moskvy (“Eco di Mosca”), il portale Meduza che ha sede in Lettonia, altri organi di stampa russi come Mediazona, Republic e Sobesednik, il portale di attivismo Activatica e i servizi in lingua russa di BBC, Voice of America e Deutsche Welle.
Il blocco dei portali d’informazione e la minaccia di procedimenti penali hanno causato l’esodo di molti giornalisti. Secondo Agentstvo, un portale di giornalismo d’inchiesta ora inaccessibile, almeno 150 di loro hanno lasciato la Russia dall’inizio della guerra.
TV Rain ha deciso di sospendere le trasmissioni per timore di rappresaglie, il canale regionale d’informazione Znak.com ha fatto lo stesso. I proprietari di Ėcho Moskvy, allineati al governo, hanno deciso di liquidare l’azienda. Persino la Novaya Gazeta, l’esempio del giornalismo indipendente diretto dal premio Nobel per la pace Dmitry Muratov, ha annunciato il 4 marzo che avrebbe rimosso gli articoli sull’invasione russa dell’Ucraina.
Dal 1° marzo Roskomnadzor ha iniziato a rallentare il traffico su Twitter e Facebook, poi ha accusato le due piattaforme di diffondere informazioni inaccurate e infine il 4 marzo le ha bloccate.
La famigerata legislazione repressiva introdotta per reprimere la libertà di stampa e le voci dissidenti è stata a sua volta arruolata in guerra.
Il 5 marzo due organi d’informazione specializzati nel giornalismo investigativo, Vazhnye Istorii (“Storie importanti”) e il Progetto d’informazione sul crimine organizzato e sulla corruzione, sono stati etichettati come “organizzazioni indesiderate” ed è stato dunque fatto loro divieto di lavorare in Russia.
Il 9 marzo è stato presentato alla Camera dei deputati un progetto di legge sulla creazione di un “registro unico” di tutti gli ex e attuali impiegati e membri di organizzazioni non governative, associazioni pubbliche, organi d’informazione e singoli individui etichettati come “agenti stranieri”.
Nonostante l’introduzione di norme durissime e la feroce risposta della polizia alle proteste pacifiche, il movimento contro la guerra continua a riempire le strade della Russia.
Secondo l’organizzazione non governativa OVD-Info, che monitora il comportamento delle forze di polizia, dal 24 febbraio sono stati arrestati arbitrariamente almeno 13.800 manifestanti pacifici, più di 5000 dei quali solo il 6 marzo in una settantina di città.
In Russia le persone private della libertà sono abitualmente sottoposte a pestaggi, umiliazioni e altri maltrattamenti. Molti degli arrestati hanno denunciato di non aver potuto vedere un avvocato e di essere stati privati di acqua, cibo e coperte e lenzuola per dormire.
Infine, il 4 marzo il parlamento russo ha introdotto una norma che criminalizza ulteriormente la diffusione di “false informazioni” sulle attività delle forze armate o il “discredito” nei loro confronti. Chiunque sia accusato di aver commesso questi “reati” rischia multe sproporzionate o una condanna fino a 15 anni di carcere. Nei tre giorni successivi, oltre 140 persone sono state arrestate sulla base della nuova legge, che di fatto impedisce di usare la parola “guerra” e di invocare la “pace”.