Altro che decrescita felice, il Paese si spopola e i giovani tornano ad emigrare al Nord

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L’EDITORIALE di Antonio Arricale – Altro che decrescita felice. La fotografia che emerge dall’audizione del presidente dell’Istat presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica, è quella di una popolazione e di un Paese (il nostro) che si avvia lentamente, ma inesorabilmente, a sparire dalla faccia della terra.

Certo, il dato del calo demografico non è nuovo per noi italiani. L’allarme fu lanciato già qualche anno fa, ma da allora il trend non ha modificato di una virgola il corso in discesa.

“Il 2024 evidenzia una dinamica demografica in continuità con quella dei recenti anni post-pandemici: un calo contenuto della popolazione residente, la conferma di una dinamica naturale fortemente negativa, una dinamica migratoria positiva”, ha detto, infatti, il presidente Francesco Maria Chelli. Aggiungendo: “Al Primo gennaio 2025 la popolazione residente conta 58 milioni 934mila unità, 37mila in meno rispetto alla stessa data dell’anno precedente”.

Né deve trarre in inganno la precisazione secondo cui, però, “il calo di popolazione residente non coinvolge in modo generalizzato tutte le aree del Paese. Infatti, mentre nel Nord la popolazione aumenta dell’1,6 per mille, il Centro e il Mezzogiorno registrano variazioni negative pari rispettivamente al -0,6 per mille e al -3,8 per mille”.

Insomma, evitiamo subito l’equivoco: non è che al Nord si fanno più figli rispetto al Sud. Il calo della fecondità è pressoché identico, infatti, a qualsiasi longitudine del suolo patrio. Anzi, con 1,18 figli per donna è stato anche superato il minimo di 1,19 del 1995, anno nel quale nacquero 526 mila bambini contro i 370 mila del 2024.

Il dato indica, invece, soltanto che dal Mezzogiorno ha ripreso – ma anche questa tendenza era già nota – il flusso migratorio interno. I giovani del Sud, cioè, lasciano le terre d’origine (specialmente quelle interne, ma non solo) in cerca di maggiore fortuna o di un’affermazione professionale adeguata alla propria formazione. E c’è anche un’altra spia che lo conferma. Il tasso di variazione dei residenti per mille abitanti – ovunque negativo, dalla Sardegna (-5,8) al Centro (-0,6) al Sud (-3,5) – diventa, infatti, positivo con riferimento al Nord-ovest (1,8%) e Nord-est (1,4) del Paese.

Certo, ci sarebbero anche altri dati interessanti su cui riflettere, ma a noi – in questa sede – torna più utile parlare della situazione demografica della Campania. La quale, ovunque nelle cinque province, presenta un segno negativo (Napoli -4,2; Salerno -3,1; Avellino -5,6; Benevento addirittura -6,8) tranne che a Caserta dove il tasso di variazione dei residenti (per mille) è positivo: pari a 1,0. Dato, quest’ultimo, che andrebbe in ogni caso indagato meglio, dal punto di vista socio-politico, dal momento che non è riconducibile né alla maggiore presenza di stranieri sul territorio, rispetto alle altre province; né alle migliori condizioni economiche e ambientali, considerate le note e specifiche classifiche annuali.

Dunque, ce ne sarebbe – eccome – di che riflettere. Soprattutto in vista delle prossime elezioni regionali. E, però, come fa giustamente notare il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, si preferisce parlare molto di uomini e di liste, ma per niente di programmi, di occupazione del potere e non, invece, delle cose da fare.