“Lo Stromboli sta manifestando dei parossismi nel settore nord del vulcano. Siamo nella parte opposta dell’abitato di Stromboli dove al momento si apprende che ci sarebbero circa 600 persone. Parte di queste persone sarebbero turisti, altri invece abitanti del luogo che sono abituati in un certo senso al rischio vulcanico ed hanno scelto di vivere su quell’isola con uno spirito di adattamento notevole. Sull’isola di Stromboli c’è un piano di emergenza che è in costante evoluzione, oltre al monitoraggio continuo che viene effettuato dall’INGV, dall’Università e da altre strutture coordinate sempre dalla Protezione Civile.
Il monitoraggio consente di avere un quadro completo di tutta la situazione e di attivare tutte le procedure di evacuazione dell’isola, qualora fosse necessario. Abbiamo davanti un fenomeno naturale dove l’antropizzazione, in questo caso, espone le persone ad un tipo di rischio ma tutto ciò che sta accadendo fa parte di un ciclo naturale del Vulcano con crolli e ricostruzione dei crateri, emissioni laviche, in questo caso lungo la sciara del fuoco, emissioni di cenere. Tutto è sotto costante monitoraggio e occorre comunque che si desti la massima attenzione”. Lo ha affermato il geologo siciliano Michele Orifici, Vice Presidente Nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale, a margine della convention: La Geologia Ambientale al servizio del Paese”, organizzata per i 30 anni della Società Italiana di Geologia Ambientale ed in corso a Roma fino a domani pomeriggio, presso Palazzetto Mattei in Villa Celimontana.
E Alessandro Amato dell’Istituto Nazionale di Vulcanologia, durante la sua relazione dedicata al sistema di difesa dai maremoti, ha sottolineato che si sta costantemente monitorando la situazione. Amato ha fatto il punto della situazione sul potenziale rischio tsunami nel Mediterraneo, dichiarazione che ovviamente non faceva riferimento al caso specifico dello Stromboli.
“Per quanto riguarda lo Stromboli l’Ingv sta monitorando costantemente la situazione. A livello di pericolosità, parlando in generale del Mediterraneo in relazione agli tsunami, è difficile dire qualcosa a breve termine. A lungo termine abbiamo stimato la pericolosità in tutto il Mediterraneo – ha affermato Alessandro Amato dell’Istituto Nazionale di Vulcanologia e Geofisica, intervenuto poco fa alla Convention Nazionale della SIGEA – e di recente abbiamo perfezionato tali stime nel corso di una convenzione triennale con il Dipartimento. Abbiamo una mappatura abbastanza precisa e sappiamo che le zone a rischio dell’Italia sono quelle che si affacciano sullo Ionio perché risentono sia di terremoti italiani e sia di quelli dell’arco ellenico. Anche altre aree di Italia hanno storicamente una pericolosità come il mare Ligure, lo stesso mare Adriatico inferiore anche se inferiore. Oggi abbiamo dei sistemi di allertamento efficaci, anche se c’è ancora molto da fare per accorciare un poco i tempi. Adesso siamo in grado di inviare messaggi di allerta nel giro di pochi minuti, tra i 6 e i 10 minuti. Ci sono alcuni Comuni italiani che sono da circa un paio di anni in corsa per avere un riconoscimento Unesco che si chiama Tsunami Ready per avere una comunità che sia pronta a fronteggiare il rischio con una conoscenza del fenomeno, che abbia un piano di Protezione Civile adeguato, che abbia dei sistema di allertamento locali. I Comuni che concorrono sono: Minturno, nel Lazio, Palmi in Calabria, Pachino in Sicilia”.