L’Editoriale di Antonio Arricale – C’è una narrazione politica ed un’altra statistica, quando si parla di Sanità e, soprattutto, di spesa sanitaria. E non è detto che le due coincidano, anzi.
Ovviamente, l’aspetto politico lo lasciamo agli addetti ai lavori, ai propagandisti di professione, agli apologeti. Prendiamo, invece, in esame i numeri che, per quanto freddi, hanno in ogni caso il merito di non mentire.

A cominciare dai costi complessivi che, peraltro, indicano quanto male facciano le regioni (ed i tifosi della devolution) al sistema Italia. Ma non è questo il tema di oggi. Dunque, negli ultimi vent’anni la spesa sanitaria italiana è stata di 131.103 milioni di euro (20 miliardi in valore assoluto). In cresciuta di quasi il 3% soltanto nel 2022 (anno di riferimento) rispetto all’anno prima.
La spesa media pro-capite nazionale è stata di circa 2.197 euro, ma con oscillazioni regionali compresi tra i 2.770 euro di Bolzano (provincia autonoma) ed i 2.028 euro della Calabria. E in questa classifica la Campania, sempre nel 2022, si conferma al secondo posto per minore spesa media pro-capite: 2.051 euro rispetto ai 2.197 dell’anno precedente, con una diminuzione dei circa 146 euro. La Lombardia – pietra di paragone – spende 2.202 euro a persona. Il Veneto 2.268.

A livello paese, alla crescita della spesa sanitaria corrente hanno contribuito soprattutto le Regioni non sottoposte ai piani di rientro, sicché sette regioni su nove, a fine anno 2022, hanno registrato un disavanzo di esercizio. E tra queste anche la Lombardia. Mentre tra quelle sottoposte a piano di rientro spiccano la Campania, che ha fatto registrare un avanzo di 7 milioni e 863 mila euro e la Calabria con addirittura 140 milioni 388 mila euro.
In conclusione, delle sedici regioni a statuto ordinario solo quattro di esse hanno conseguito, nel 2022, avanzi di gestione. E tra queste – come detto – la Campania e la Calabria, in buona compagnia con Veneto (7 milioni e 99 mila euro) e Lombardia (296 mila euro).

Con la crescita della spesa complessiva è cresciuta _ nemmeno a ripeterlo – anche la mobilità sanitaria. Vale a dire, i viaggi da regione a regione che gli italiani intraprendono per curarsi. E Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, al solito, sono le mete che da sole raccolgono il 94,1% del saldo attivo di queste spese. Nel 2022, la mobilità sanitaria interregionale ha raggiunto la cifra record di 5,04 miliardi, il livello più alto mai registrato e superiore del 18,6% a quello del 2021 (4,25 miliardi).
I dati sono elaborati dalla Fondazione Gimbe e confermano anche il peggioramento dello squilibrio tra Nord e Sud, con un flusso enorme di pazienti e di risorse economiche in uscita dal Mezzogiorno. Abruzzo, Calabria, Campania, Sicilia, Lazio e Puglia, insieme rappresentano il 78,8% del saldo passivo.
Numeri che certificano – se mai ve ne fosse bisogno – che la mobilità sanitaria non è più una libera scelta del cittadino, ma una necessità imposta dalle profonde diseguaglianze nell’offerta dei servizi sanitari regionali.
L’affermazione, ovviamente, non è mia, ma di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.