L’EDITORIALE DI ANTONIO ARRICALE – Quest’anno il Rapporto Svimez ci dà una notizia buona ed una meno buona, ma non per questo necessariamente cattiva, sulle condizioni di sviluppo del Mezzogiorno.
L’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, inoltre, fornisce soprattutto un’indicazione al timoniere – vale a dire, alla Politica, poco importa se nazionale o regionale – per continuare a tenere la barra dello sviluppo puntata sulla rotta giusta. Non tenerne conto, sarebbe un grave errore. Ma procediamo per ordine.
La notizia buona è che, per il secondo anno consecutivo, il Sud cresce più del resto del paese. Il Pil del Mezzogiorno, infatti, è visto in aumento dello 0,9% rispetto allo 0,7% del Centro-Nord. La notizia meno buona, invece, è che dal prossimo anno la crescita sarà più stentata e ciò proprio a causa delle politiche di stimolo agli investimenti e di sostegno ai redditi delle famiglie, che dal governo centrale, in uno con quello del territorio, subiranno una contrazione.
(A parte, su questo giornale, leggerete altri dettagli sul Rapporto).
La Svimez, dunque – semmai ve ne fosse ancora bisogno – ribadisce che il gap tra le due Italie, quelle poste al di qua e al di là del Garigliano, si può colmare soltanto puntando decisamente sull’industria. È il manifatturiero, infatti, numeri alla mano – dice la Svimez – che potrà fare la differenza nelle politiche di sviluppo. Le altre scelte – come quella del turismo, per esempio – ben oltre la suggestione evocativa della vocazione green, può aiutare, concorrere, integrare, ma non sostituirsi al ruolo di forza motrice che solo l’industria può avere.
Ed in questo senso è la filiera dell’auto il settore sul quale – è indicato senza mezzi termini nel Rapporto – si giocherà il futuro del Mezzogiorno. Del resto, già ora il Mezzogiorno ha fornito quasi il 90% degli autoveicoli prodotti in Italia nei primi 9 mesi del 2024, pur perdendo più di 100 mila unità sul 2023 (un secco -25%). Lo stabilimento di Melfi, per dirne uno, ha perso quasi 90mila unità. E ad aggravare il quadro, è da registrare anche la sospensione dell’investimento da oltre 2 miliardi per la realizzazione della giga-factory di batterie a Termoli.
Detto in soldoni, la filiera estesa nel Mezzogiorno dell’automotive vale quasi 13 miliardi in termini di valore aggiunto e circa 300 mila occupati, di cui più della metà sono divisi tra Campania (30%) e Puglia (21%), seguite da Sicilia (21%) e Abruzzo (11%). Ignorare queste cifre sarebbe da miope. Pensare, addirittura, di poterle sostituire con altre suggestioni di sviluppo sarebbe, oltre che velleitario, un delitto grave.
Certo, ci sono altri nervi scoperti che il Rapporto Svimez invita la Politica a tenere in debito conto e su cui evidentemente intervenire. Come, per esempio, l’immenso patrimonio di giovani laureati meridionali che emigrano al Nord e anche all’estero, sottraendo intelligenze e competenze al Sud. Risorse umane e intellettuali che non può essere certamente il turismo a trattenere il loco. E difatti non lo fa.
E, allora? “Meno B&B e più R&D”, indica senza mezzi termini il direttore della Svimez Luigi Bianchi. Dove il secondo acronimo – per i pochi che non lo sanno – sta, appunto, per “Ricerca e sviluppo”. Come dargli torto.
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