L’EDITORIALE di ANTONIO ARRICALE – Siamo tutti necessari, ma nessuno è indispensabile. È la prima regola che ti insegnano ad una scuola di management. In verità, l’adagio lo insegnavano già i nostri vecchi, senza aver necessariamente fatto suole alte. Poi, però, complice anche il solipsismo smoderato indotto dalla tecnologia (cellulari, social e quant’altro) se n’è perso traccia. Anche nella memoria di chi, per ragioni anagrafiche, con l’invito alla moderazione, se lo sarà sentito ripetere chissà quante volte. Ma, come si dice: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
E tra questi è sicuramente il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, 75 anni suonati, che però è affetto – come si sa – da bulimia di potere. E lo svolgimento dei lavori del Consiglio regionale di ieri ce ne hanno dato l’ennesima conferma.
Lo Sceriffo – mai appellativo fu più azzeccato – non solo s’è fatto approvare una legge “ad personam”, ma si è fatta modificare – a misura di sé medesimo, anzi, del proprio iper ego – anche la legge regionale elettorale. Il particolare è sfuggito nell’immediato, ma emerge in tutta evidenza ad una riflessione più pacata degli eventi.
Procediamo con ordine. Partiamo dal terzo mandato concepito, appunto, unicamente a misura di De Luca dai legislatori regionali. La possibilità di candidarsi per la terza volta, infatti, non è data a tutti i cittadini che aspirino a guidare la Regione. La norma nasce e muore con De Luca. Anzi, solo per De Luca. Una volta pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Campania, trascorsi quindici giorni rinvia – ex nunc – all’applicazione della legge nazionale che, dunque, impone il limite inderogabile di due mandati consecutivi. Agli altri.
Ma la smisurata considerazione di sé stesso emerge, per De Luca, anche con le modifiche apportate alla legge elettorale regionale. La quale, per cominciare, ha eliminato il limite al premio di maggioranza che prima era fissato al 65%, giusto per non ridurre il diritto di tribuna ai partiti minoritari. Insomma, deve essere stato questo il ragionamento dello Sceriffo: “Prenderò talmente tanti voti che non è giusto limitarmi anche il numero dei consiglieri che con me saranno eletti”. Ragionamento, peraltro, che fa il paio con l’abbassamento della soglia di sbarramento al 2,5% delle liste, anche se sono di coalizione. Liste cosiddette civiche, che rappresentano da sempre l’atout vincente che – a parere dell’attuale presidente – lo porterà nuovamente a Palazzo Santa Lucia. (Ma su quello delle liste apparentate e sul loro portato “criminogeno” torneremo, magari, in un prossimo articolo).
Come se non bastasse, poi, la nuova norma elettorale ha introdotto anche il concetto della conservazione della carica. Viene prevista, infatti, la figura del consigliere supplente. Nel senso che, se un consigliere eletto ambisce poi a diventare assessore e dovesse, itinere, stufarsi di rivestire questa carica (o costretto a lasciare per altri accidenti) può rientrare tranquillamente tra i banchi del Consiglio. E, dunque, conserva carica, privilegi e appannaggio.
Infine, il legislatore regionale ha pensato bene di estendere l’ineleggibilità dei sindaci campani anche ai primi cittadini dei piccoli comuni (quelli con meno di 5 mila abitanti). A meno che si dimettano tre mesi prima della data delle elezioni regionali. In questo caso, c’è stata una levata di scudi – peraltro un tantino fuori luogo, penso – da parte dell’Anci Campania, l’associazione dei comuni. La quale, assecondando la visione della maggioranza consiliare, nelle sue rivendicazioni non si capisce perché non abbia anche preteso l’inserimento – così come hanno fatto per sé stessi i consiglieri regionali – dell’istituto del sindaco supplente.
Ovviamente, è una boutade. Che non ci impedisce, tuttavia, di concludere con una riflessione.
A informare l’azione legislativa di De Luca e dei suoi consiglieri regionali non è stata – mi pare – minimamente avvertita l’esigenza di rispetto che pure si dovrebbe agli elettori. Il tutto, infatti, è avvenuto quasi furtivamente, con un colpo di mano, in assenza del benché minimo confronto con e tra le forze politiche che pure rappresentano la restante parte dei cittadini che ancora si recano alle urne.
E che, forse, anche per questo continueranno a tenersene lontani.
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