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Astensionismo, la lezione della Liguria che i politici non vogliono capire

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L’EDITORIALE DI ANTONIO ARRICALE – Leggo i commenti, divertito, sui risultati elettorali delle regionali in Liguria. Chi ha vinto?

I commentatori, ovviamente, dai rispettivi punti di vista, hanno dato la lettura più evidente: la coalizione di Marco Bucci ha preso più voti di quella di Andrea Orlando. Dunque, Bucci ha vinto e Orlando ha perso. O, se preferite, il centrodestra ha battuto il centrosinistra. Punto. Di poco, di molto: non importa. Così come poco importa rispondere: grazie a chi o per colpa di chi?

Certo, dopo il casino – si può dire? – combinato da Giovanni Toti, i compagni di Elly Schlein la vittoria se la vedevano già in tasca. Sicché la sconfitta, se possibile, brucia anche di più.

E, tuttavia – se posso consentirmi una digressione statistica – vorrei indicare due vincitori di questa competizione che, al di là degli schieramenti politici, non sono stati abbastanza considerati. Due vincitori, che sono – a mio avviso – anche i veri e soli protagonisti della vittoria. Ed il cui risultato dovrebbe probabilmente far riflettere non poco le segreterie politiche che, però, da tempo ormai immemore – a me pare – hanno smesso di svolgere il ruolo che sono chiamati a svolgere: di indirizzo politico e selezione della classe dirigente.

Il primo vincitore è Marco Bucci, sindaco di Genova. L’americano. L’uomo del fare. L’uomo che in meno di due anni (e nemmeno un’ombra) da commissario di governo ha ricostruito il Viadotto sul Polcevera, dove prima era crollato il Ponte Morandi. Vale a dire, il ponte dei Benetton, degli amici fighetti del Pd e, più in generale, della sinistra. E, questo, i genovesi e, più in generale, i liguri hanno mostrato nei fatti di averlo apprezzato. E anche noi – a dire il vero – nauseati dalla cattiva pratica amministrativa che questa classe politica ci propina, senza scorno, ogni giorno.

E qui entra in scena il secondo vincitore. Anzi, il vincitore assoluto: l’astensionismo, di cui i partiti parlano sempre malvolentieri e, comunque, si guardano bene dal riportare alle urne. E si capisce. Questo significherebbe – per loro – dover cambiare con lo stile di vita e di fare politica, soprattutto di cambiare le modalità di selezione della classe politica. E la cosa non piace, perché significherebbe dover abbandonare la pratica della cooptazione, del migliore posizionamento in lista, rinunciare all’elezione – oltre della propria – di mogli, amanti, figli, ricconi e, perfino, delinquenti matricolati. Ma di questo torneremo a parlare un’altra volta.

Intanto, proviamo a leggere diversamente i dati elettorali. Su una platea di 1 milione 341 mila 693 elettori, in questa tornata, in Liguria hanno votato 616 mila 748 aventi diritto. Complessivamente – al netto della distinzione tecnica dei voti validi – gli astenuti rappresentano il 54% degli elettori. Non solo, secondo questo calcolo, il centrodestra (con Bucci) con 291 mila 93 voti riportati, ha totalizzato soltanto il 21,6%; mentre il centrosinistra (con Orlando) con 282 mila 669 il 21%. Ne consegue che, ciascuno degli schieramenti, rappresenta soltanto poco più di un quinto del corpo elettorale. Considerati insieme arrivano ad appena il 42,6%.

Insomma, ne consegue che la rappresentanza se ne va a farsi benedire. Appunto.

Nelle foto Marco Bucci, Andrea Orlando, Giovanni Toti, Elly Schlein e Luciano Benetton

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