AVERSA – Il Consiglio direttivo dell’Ordine dei medici-chirurghi e degli odontoiatri di Caserta ha deciso di costituirsi parte civile a seguito dell’ennesimo episodio di aggressione nei confronti di una dottoressa in servizio presso il pronto soccorso dell’ospedale Moscati di Aversa.
A darne notizia è il presidente Carlo Manzi che insieme all’intero Consiglio esprime massima solidarietà e vicinanza alla collega aggredita. La dottoressa ha subito minacce di morte e aggressione fisica da una paziente che le ha lanciato contro il monitor di un computer e la stampante.
La dottoressa ha riportato una contusione al torace e un’escoriazione al braccio sinistro, guaribili in trenta giorni. L’episodio venerdì sera. Il presidente Manzi aggiunge ancora: «La categoria dei medici è sempre più spesso vittima di aggressioni fisiche e verbali sul luogo di lavoro e durante lo svolgimento della professione. Nessun atto di violenza è giustificabile men che mai nei confronti dei sanitari che ogni giorno svolgono il loro lavoro a servizio della comunità».
Il presidente poi pone l’attenzione su alcuni punti critici: «Le strutture ricettive dei PS hanno filtri inadeguati, serve altresì la figura di un mediatore tra familiari e operatori sanitari. Inoltre, vanno organizzati corsi di formazione sulla comunicazione poiché gli accessi ai PS non possono essere selezionati e i professionisti devono capire chi hanno di fronte, anche in situazioni di stress dovute all’iperafflusso». E ancora, il presidente insiste: «Lo strumento normativo nuovo, ovvero l’arresto in flagranza differita, e l’inasprimento delle sanzioni economiche vanno messi in pratica, pertanto servono i sistemi di videosorveglianza, e va detto che ad Aversa ci sono. La guardia armata può essere un ulteriore deterrente, ma, come si è visto in questo episodio, serve a poco ed è talvolta proprio inutile. E poi, il drappello di polizia è un sogno difficilmente percorribile H24 su tutte le strutture dell’emergenza».
Le parole della dottoressa aggredita: «Lo stato d´animo è di grande delusione, ma continuerò a fare il medico, forse non più al pronto soccorso. Mi rendo conto che dall’esterno non si comprende come funziona un ospedale e che ci sono delle priorità. Non si comprende il nostro impegno. Molto spesso mettiamo da parte anche le nostre famiglie o i nostri interessi personali per dare il nostro contributo». E aggiunge: «Le aggressioni verbali sono all’ordine del giorno. Io cerco di resistere perché mi sento legata a questa seconda famiglia che ho trovato all’ospedale Moscati, ma non nascondo che la paura di lavorare qui è cresciuta in maniera esponenziale dal primo giorno che ci ho messo piede come dirigente medico. Non sono comunque scoraggiata. Io sarei pronta a tornare subito, ma devo fare questi 30 giorni di prognosi che, spero, possano essere da lezione anche per gli utenti. Sarà un modo anche per far capire, se mai, cosa significa non avere medici o averne di meno».