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Caserta, miseria e nobiltà (decaduta) di Piazza Carlo di Borbone 

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di Antonio Sanfelice – Piazza Carlo III, pardon, Piazza Carlo di Borbone è parte integrante della Reggia di Caserta o è una realtà a sé stante? Il quesito non è capzioso, come pure all’apparenza sembrerebbe, e provo a spiegare perché.

Intanto, già il cambiamento dell’appellativo, arrivato soltanto nel 2020, della piazza più grande d’Italia, anzi d’Europa – secondo le misurazioni del compianto collega Paolo Donà è di poche decine di metri più grande del Prato della Valle di Padova – restituisce opportunamente la vera paternità allo slargo. Nel senso che la creazione della piazza (e del Palazzo) si deve a Carlo di Borbone in quanto Re di Napoli e non del medesimo sovrano assurto successivamente al trono di Spagna con il nome, appunto, di Carlo III. La piazza, dunque, secondo il disegno di Luigi Vanvitelli, è delimitata da due emicicli, che delimitano il cosiddetto violino (si veda la foto sopra) presso cui erano ospitate le scuderie e i militari posti a difesa del Palazzo. Insomma, è da considerarsi un unicum con il complesso monumentale vanvitelliano, non certo un corpo estraneo.

E veniamo al dunque. Piazza Carlo di Borbone si presenta agli occhi di un sempre crescente (fortunatamente) numero di turisti in una situazione a dir poco di scarso decoro, se non proprio degrado. Come, peraltro, ci appare oggi, all’indomani di un ciclo di fortunati concerti, cui la Reggia ha fatto da meraviglioso sfondo, ma che hanno completamente distrutto di quel po’ che restava dei famosi campetti – come i casertani usano ancora oggi dire.

La questione del decoro della piazza, peraltro, non è di oggi e ricorre periodicamente. Diciamolo subito, allora, come stanno le cose: manutenzione e decoro della piazza rientrano nei compiti dell’ente Comune. Il quale – nemmeno a ricordarlo – da anni è afflitto da conti in dissesto da cui non è ancora del tutto fuori. Sicché, ad ogni critica puntualmente mossa, siano semplici cittadini o associazioni culturali, gli amministratori della città hanno risposto spesso facendo spallucce. Nella migliore delle ipotesi, di fare il possibile. Finanche coinvolgendo l’imprenditoria privata – autentici eroi del senso civico – che per alcuni anni si è messa alla stanga addossandosene gli oneri. Certo, assicurando il minimo sindacale, che è comunque tanto rispetto a niente. Resta il fatto che, in ogni caso, tra la Reggia e lo spazio antistante emerge uno stridore di trattamento estetico a dir poco imbarazzante. Certo, non bello a vedersi. E i turisti – oltre ai cittadini più accorti – non mancano di sottolinearlo. 

Converrete con me, allora, che non è così che si dovrebbe gestire un complesso monumentale di formidabile richiamo turistico tanto è essere inserito nella Top ten italiana dei siti e musei più visitati. Non è così, del resto, che gestiscono l’ingresso di Versailles, per parlare del monumento più rappresentativo dei Borbone di Francia. E non è certamente così che gestiscono lo spazio antistante Venaria, a Torino, monumento sabaudo assai modesto – diciamola tutta – rispetto alla grandezza del complesso voluto dai Borbone di Napoli. Sia a Parigi che a Torino, infatti – mi dicono – è la Sovrintendenza competente che, appunto, sovrintende, vigila e gestisce l’unicum monumentale-museale-paesaggistico affidatole. Unicum che è ricchezza e vanto del posto in cui si trova e come tale, perciò, accudito, vezzeggiato e custodito.

Come mai, allora, a Caserta questo non avviene? Che cosa aspetta il Comune a cedere il passo, a chiedere cioè alla Direzione del Palazzo di prendere in carico anche lo spazio antistante? E che cosa aspetta la Sovrintendenza, nel caso di un’ottusa resistenza, a muovere i passi dovuti per avocarne competenza e gestione?    

(Nelle foto, Piazza Carlo di Borbone come appare oggi e come dovrebbe o potrebbe essere)

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