PROVARE A CAMBIARE, DALLA REGIONE

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L’Editoriale di Antonio Arricale

Si riparte, dunque. Ma non per una nuova avventura, come spesso – con abusata retorica – in questi casi usa dire.

Partiamo, più semplicemente, per un nuovo viaggio giornalistico che, questa volta, non sarà limitato dalla cinta daziaria della nostra residenza, ma – come l’editore ha giustamente voluto – dell’intera regione.

Viaggeremo, perciò, con una squadra di giovani e validi collaboratori, per le cinque province della Campania alla ricerca di notizie, eventi, incontri, esperienze, storie da raccontare.

Ma, soprattutto, di persone. E di scelte. E, questo, per una semplice ragione, che peraltro è sotto gli occhi di tutti: con la legge dell’autonomia differenziata, semmai, infine, passerà anche lo scoglio del referendum istituzionale, ma, in ogni caso, perdurando l’attuale regionalismo, è con questa dimensione territoriale – dimensione regionale, appunto – che dovrà primariamente continuare a misurarsi la Politica. Con la P maiuscola, ovvio. Vale a dire: la nostra partecipazione attiva alla cittadinanza, all’essere comunità.

Beninteso, io non sono regionalista. Tutt’altro. E’ questa, del regionalismo, una forma di organizzazione istituzionale che aborro. Essa nasce, infatti, da un malinteso senso di esaltazione delle cosiddette Autonomie locali, tema che animò fortemente il dibattito politico degli anni Settanta e Ottanta (e oltre) soprattutto tra le menti riformiste. Un dibattito viziato, però, “ab origine” non tanto dai socialisti che lo propugnarono, cogliendo in esso un ulteriore mezzo di emancipazione della popolazione; ma dagli allora “ancora” comunisti, che invece – mendacemente – ne consideravano semplicemente l’opportunità di arrivare al gradino più alto del potere, aggirando il veto insormontabile derivato dalla partecipazione dell’Italia al Patto Atlantico.

Insomma, per farla breve, al regionalismo imputo – per quanto mi riguarda – l’origine di tutti i mali dell’Italia d’oggi: dalla lievitazione abnorme del debito pubblico, alla proliferazione smisurata di un ceto politico perlopiù opportunista, se non improvvisato, incapace e/o arruffone, all’approfondimento del gap nord-sud, alla Sanità negata ai cittadini meno abbienti e via discorrendo.

E, però, bisogna prendere realisticamente atto che, con o senza ulteriori riforme, il quadro regionale – all’interno dell’attuale architettura istituzionale dello Stato – è in ogni caso destinato a permanere. Ed è, perciò, in questo ambito che bisognerà continuare a pensare e agire. In attesa… magari non di Godot, ma di una riforma seria proposta da una classe politica seria.

Il compito, perciò, che unitamente all’editore ci siamo imposti – per il poco che ci compete e, soprattutto, possiamo fare con questo mezzo – sarà quello di cercare di portare ad unità di sintesi la visione regionale del sistema politico-sociale-economico e di contribuire in qualche modo, se non a modificarlo, quanto meno a decifrarlo.

Perché provare a cambiare le cose, infine, non tocca a noi, ma alla cittadinanza. Attiva. Insomma, agli elettori.