Molise, Campania, Abruzzo, Lombardia e Liguria. Queste le regioni con il più alto indice di mortalità per Covid sul lavoro rispetto alla popolazione occupata in 17 mesi di pandemia. È la prima istantanea della più recente indagine elaborata dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre sull’emergenza sanitaria nel Paese sulla base di dati Inail. Mentre tra quelle in cui l’indice di mortalità risulta essere meno elevato si trovano Trentino Alto Adige, Basilicata, Sardegna, Toscana e Veneto (vedi tabelle allegate). E proprio il Veneto risulta essere la regione con il minor rischio di mortalità tra le regioni con il più alto numero di occupati. Infatti, rispetto ad un’incidenza media nazionale pari a 27,9 il Veneto fa registrate un indice di 13,2. Ben lontano dai più preoccupanti valori di Lombardia (41,1) e Lazio (27,4). Tra gli indici più preoccupanti quelli di Molise (75,7), Campania (45,8), Abruzzo (43,0) e Liguria (38,3). Una nuova mappatura quella realizzata dall’Osservatorio mestrino che pone al centro dell’emergenza il rischio reale di mortalità.
Sul fronte della mortalità per settore, scopriamo che l’89,8% delle denunce di morti sul lavoro per Covid rientra nell’Industria e Servizi. E in questa macroarea produttiva con il 25,1% delle denunce con esito mortale, troviamo ancora il settore Sanità e Assistenza Sociale; seguono con il 12,8% il settore Trasporti e Magazzinaggi e con il 12,1% dei casi le Attività Manifatturiere (lav. prod. chimici, farmaceutica, stampa, industria alimentare…); con il 10,4% invece si trova il settore dell’Amministrazione Pubblica e Difesa (attività degli organi preposti alla sanità es. Asl, legislativi, esecutivi) e con il 9,5% quello del Commercio.
Intanto, in 17 mesi di pandemia e di emergenza, anche le professioni più colpite dal dramma sono e rimangono anche a fine maggio 2021 quelle dei tecnici della salute (infermieri, fisioterapisti) con il 10,7% dei casi. Seguiti da: impiegati, addetti alla segreteria e agli affari generali (10,6%), conduttori di veicoli a motore (7%), i medici (5,9%). E ancora: operatori sociosanitari (4,5%), il personale non qualificato nei servizi sanitari e istruzione (portantini, ausiliari, bidelli) (3,7%).